martedì 25 settembre 2012

LA CRISI

Quando giro per il mondo, se trovo un luogo che mi fa sentire a mio agio, ci ritorno spesso. A Valencia è capitato per un ristorante gestito da argentini e con una signora che parlava benissimo l'italiano. E' stata in Italia con il marito fino al 2005, lui lavorava in una televisione locale del Piemonte, più o meno faceva il mio stesso lavoro. Siccome vado a cenare alle 19.30, quando in Spagna sono ancora tutti a casa, nel locale non c'è nessuno e quindi sono praticamente coccolato. Non è che mi piaccia stare al centro dell'attenzione, se no avrei fatto l'attore od il presentatore ma in questo modo posso parlare bene con la proprietaria e insomma intervistarla. Mi piace ascoltare le storie e faccio di tutto per farmele raccontare. Insomma mi dice che la crisi in Spagna non c'è e che gli spagnoli non sanno cosa voglia dire vivere in una crisi. In Argentina, dove da dove è venuta via, c'è ormai da sempre. E' quella crisi dove tu guadagni 500 euro al mese e per comprarti le scarpe da ginnastica te ne vanno via 300. Quindi non le compri e fai con quelle vecchie, che tratti bene e le conservi con cura. In effetti, ogni tanto, una crisi per qualcuno ci vorrebbe, la troverei molto educativa; sia chiaro non una crisi dove manca il cibo essenziale ma anche per quella ci sarebbe un discorsetto da fare. Mangiamo troppo, molto più di quello che ci serve, mangiamo male e soprattutto sprechiamo molto cibo. In fondo una crisi ci costringerebbe ad educarci anche nella nostra alimentazione. La signora, conclude dicendomi che per qualcuno essere in crisi significa non poter andare in vacanza o non poter cambiare l'automobile. La sua famiglia in Argentina in vacanza non c'è mai andata, impreca in spagnolo. Mi sorride, si gira e va in cucina a prepararmi una tapas. Tutto ciò che mi ha detto, mi ricorda molti dei racconti che mia madre mi faceva, raccontandomi di quando era piccola: lei di scarpe ne aveva un solo paio e le cambiava una volta all'anno, forse. La panchina che mi ospita mentre scrivo questo racconto, adesso accoglie anche una coppia giovane, che si sta gustando uno yogurt con frutta e panna. E' davvero una buona idea salutare, vado a prendermela anch'io: per tre euro e 50 la crisi ancora ci permette questo lusso.

martedì 11 settembre 2012

LA SALITA

E' una scala a chiocciola e nell'ultima parte diventa così stretta da passarci solo una persona. Ogni tanto c'è una finestrella stretta stretta, che fa capire quanto ti sei alzato da terra. Piano piano la fatica e la sofferenza aumentano, fino a farmi chiedere perché l'ho voluta prendere quella scala. E' un po' come la vita della maggior parte di noi, che non riusciamo a vedere quello che c'è fuori, perché impegnati nella scalata. Abbiamo un obiettivo: arrivare in cima. Mannaggia, incomincio a pensare che a me non me ne frega nulla di arrivare in cima, che preferisco godermi il continuo e vario paesaggio di una camminata. Mi viene da pensare che poi la devo riscendere, a me che dopo due discese dalla tribuna dello stadio di Firenze mi fanno male i muscoli delle coscie, per via dell'acido lattico o qualcosa di simile. Io e lo sport siamo amici solo per via del lavoro. Finalmente, con un fiatone che mi fa sentire un sessantenne, arrivo in cima per gustarmi il panorama. Delusione: in effetti è solo un ammasso disordinato di case. Non si vede bene nemmeno la città nuova di Calatrava, che rimane per gran parte coperta. Proprio vero, gli obiettivi non ci rendono felici e soprattutto durano poco: una signora da un altoparlante gracchiante, ci dice che dobbiamo già scendere.